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La scelta di Pandora: un “salto” avanti per la sostenibilità

La scelta di Pandora: un “salto” avanti per la sostenibilità

Pandora, il colosso della gioielleria danese, ha annunciato che a partire dal 2022 non venderà più diamanti estratti dalle miniere. Ad Aprile 2021, in concomitanza al lancio della collezione Brilliance composta da diamanti prodotti in laboratorio (o “sintetici”) nel Regno Unito, l’azienda ha dichiarato che venderà esclusivamente diamanti sintetici dal 2022.

L’impatto ambientale e sociale dei diamanti estratti dalle miniere

Dell’impatto ambientale e sociale dell’estrazione dei diamanti ne aveva parlato Leonardo Di Caprio nel film “Blood Diamond“. Ruolo che lo ha coinvolto talmente tanto da investire nell’azienda americana Diamond Foundry, leader nella produzione di diamanti in laboratorio, valutata a $1.8 miliardi.

I maggiori produttori di diamanti a livello mondiale sono: Russia, Botswana, Canada, Angola, Sud Africa, Repubblica Democratica del Congo e Namibia. Seguono altri Paesi, che ne producono in quantità minori, tra cui l’Australia, il Ghana, la Guinea, il Lesotho, il Sierra Leone e lo Zimbabwe.

A causa della scarsa regolamentazione del mercato estrattivo, i lavoratori (tra cui bambini) sono spesso abusati, sottopagati, vivono in condizioni al limite dell’umano e lavorano in miniere non messe in sicurezza. Dal momento che l’estrazione di diamanti rappresenta una fonte di ricchezza per questi Paesi, i governi rendono difficile documentare le condizioni di vita dei lavoratori. Leggete questo articolo su “i campi di tortura dello Zimbabwe“.

Dal punto di vista ambientale, l’estrazione, la lavorazione (soprattutto) e anche la distribuzione creano gas climalteranti, richiedono lo spostamento di centinaia di tonnellate di terra, e comportano la distruzione e l’inquinamento di habitat naturali,

Le aziende che vendono diamanti continuano a dichiarare di investire milioni per promuovere lo sviluppo dei Paesi dai quali li estraggono; e evidenziano che interrompere i processi estrattivi e disinvestire da questi Paesi avrebbe enormi ripercussioni economiche e sociali per la vita dei lavoratori (meglio continuare a sfruttarli quindi?). Tuttavia come dimostra il report dello Human Rights Watch, che ha analizzato 15 aziende di gioielleria, nessuna di loro produce diamanti in maniera sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale; e soltanto due aziende hanno fatto dei passi avanti per garantire la sostenibilità dei loro processi produttivi.

Produttori di gioielli in ordine di impegno verso la sostenibilità. Fonte Human Rights Watch.

I diamanti prodotti in laboratorio

In risposta a ricerche di mercato (tra cui questa molto interessante del gruppo De Beers) e a consumatori sempre più attenti all’impatto ambientale e sociale dei prodotti di cui fanno uso, aziende come Pandora hanno deciso di immettere sul mercato diamanti sintetici.

I cosiddetti “diamanti fatti a mano” sono uguali a quelli estratti in miniera, sotto tutti i punti di vista: taglio, colore, chiarezza e carati (il famoso sistema internazionale 4C: cut, colour, clarity and carat). Tanto che se due diamanti, uno estratto in miniera e uno sintetico, venissero messi di fronte ad un consumatore, questo non sarebbe in grado di distinguerli. Motivo per cui in America, la Federal Trade Commission ha per anni negato ai produttori di poterli chiamare diamanti, obbligandoli a chiamarli “pietre di carbone cristallizzato”, per “proteggere gli interessi del consumatore”. Fortunatamente dal 2018, dopo anni di dispute, entrambi possono essere chiamati diamanti, ma il consumatore deve essere informato se si trova di fronte a uno sintetico.

A differenza dei diamanti naturali, che impiegano miliardi di anni a formarsi, i diamanti sintetici vengono prodotti in poche settimane. E, cosa forse più importante per i consumatori, costano circa il 30% in meno dei diamanti estratti dalle miniere. Ad esempio, il costo di partenza di un diamante sintetico venduto da Pandora è di 250 sterline, circa 290 euro.

Rimane un punto interrogativo…

Il rovescio della medaglia sta nell’enorme quantità di energia necessaria per produrre i diamanti in laboratorio. Secondo il rapporto del Natural Diamond Council, molti produttori di diamanti sintetici utilizzano ancora combustibili fossili per alimentare gli impianti produttivi. Ad esempio, circa il 50% dei diamanti sintetici viene dalla Cina, la cui fonte principale di energia è ancora oggi il carbone. Quindi il rischio è che l’impatto ambientale non venga ridotto.

Tuttavia, se si tiene conto dell’intero processo produttivo dei diamanti, quelli sintetici hanno un impatto ambientale e sociale decisamente minore: non richiedono lo spostamento di tonnellate di terra e l’impiego di enormi quantità di acqua, e non comportano inquinamento delle acque, degli habitat naturali, sfruttamento e abusi dei lavoratori.

Inoltre, Pandora stima che il 60% dell’energia utilizzata per produrre i suoi diamanti sia rinnovabile, e mira al 100% di energia rinnovabile nel 2022, e alla carbon neutrality entro il 2025. E Diamond Foundry, il più grande produttore americano, usa già il 100% di energia rinnovabile per produrre i suoi diamanti.

…è comunque un salto avanti per la sostenibilità

Pandora sta anticipando una richiesta di mercato che è ancora molto bassa, ma che si stima salirà nei prossimi anni, grazie alla presa di coscienza dei consumatori. Aziende come Pandora sono rare, ma da prendere ad esempio, perchè sono disposte a rischiare di rimetterci economicamente, pur di fare la scelta giusta. Invece di aspettare che la domanda salga, prima di iniziare a offrire un prodotto, nonostante ce ne sia chiaramente un esigenza, dal punto di vista ambientale e sociale.

Come ha detto l’Amministratore Delegato “ho 4 figli, un giorno lascerò questo mondo, e voglio guardarmi indietro e poter dire di aver fatto la cosa giusta, e di avergli lasciato un mondo migliore di come l’ho trovato”.

Un piccolo passo avanti per Pandora, un salto in avanti per l’industria dei gioielli.

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